impariamo a studiare il tedesco con Nicola Corrado!



Oggi ho l'onore di intervistare il poliedrico Nicola Corrado: pedagogista clinico, docente di lingua tedesca ed... esperto di emigrazione italiana di fine Ottocento
Scopriamo insieme i mille interessanti volti di questo intellettuale partenopeo.


D: Benvenuto Nicola, grazie di esserti prestato a intervenire sul blog nelle vesti di “Docente di tedesco, Pedagogista Clinico e Formatore”. Iniziamo con la prima domanda: cos’è la pedagogia clinica?
R:  La Pedagogia Clinica è la pedagogia applicata a risolvere i problemi derivanti dalle difficoltà presenti nei vari campi della vita di un individuo, a partire dalle difficoltà di apprendimento in campo scolastico, per finire all’aiuto e alla cura della persona in età avanzata. L’antica etimologia dell’aggettivo “clinico” (da κλίνω-inclinarsi, piegarsi) richiama l’attenzione che dovrebbe avere colui che si prende cura della persona in difficoltà, sia esso medico, insegnante o formatore, nel “chinarsi” su di lei per osservarne bene le difficoltà e aiutarla a trovare da sola o insieme le soluzioni.   


D: A chi mi chiede se il tedesco sia difficile, rispondo che lo è soprattutto all’inizio, ma che una volta superato il "giro di boa" del primo anno è una lingua che dà enormi soddisfazioni. Da docente di tedesco condividi questo punto di vista?

R: Sì, condivido in pieno. Ma anche quello che tu hai individuato come “giro di boa” può diventare facilmente approcciabile attraverso una serie di strategie didattiche che io ho sviluppato negli anni. Ho sempre pensato che la struttura oggettivamente difficile della lingua tedesca rispondesse ad una logica sottostante rintracciabile in un retro-pensiero dei parlanti quella lingua (un modo di pensare). Una volta individuata la matrice profonda di questo retro-pensiero (che insieme agli alunni chiamiamo MATRIX), tutto il sistema di regole che ne discende diventa più facile da apprendere, perché non è più un’acquisizione di strutture a memoria da parte degli allievi, ma l’applicazione di un ragionamento alquanto lineare. 

"Ho sempre pensato che la struttura oggettivamente difficile della lingua tedesca rispondesse ad una logica sottostante rintracciabile in un retro-pensiero dei parlanti quella lingua (un modo di pensare)." 
immagine presa da internet

A patto naturalmente che si conosca la grammatica e la sintassi della lingua italiana, in particolare l’analisi logica e del periodo, da cui partire per analizzare il pensiero.
Insomma prima di approcciare il tedesco ho sempre sentito il bisogno di accertarmi della conoscenza da parte degli alunni dell’italiano e delle funzioni delle varie parti del discorso. Se non si hanno ben chiare queste funzioni non si va da nessuna parte. I concetti di nominativo, genitivo, dativo e accusativo che sono trasparenti nella lingua italiana (per cui non si vedono né li vedrà mai chi non ha studiato il latino) sono conoscenze essenziali per padroneggiare la lingua tedesca, che è una lingua che si declina ed esprime dei messaggi precisi attraverso la declinazione. 


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I ragazzi devono comprendere che i casi (nominativo, genitivo ecc.) e le desinenze ad essi correlate sono dei SEGNALI, di cui la lingua si serve per comunicare dei CONCETTI. E devono altresì comprendere che questi SEGNALI corrispondono ad un pensiero logico che si articola attraverso la flessione e/o l’assenza delle desinenze. Per fare un piccolo esempio semplice ma concreto, se non si sa distinguere un “aggettivo attributivo” da un “aggettivo predicativo del soggetto”, si naviga a vista e ci si arena prestissimo sugli scogli della lingua.
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D: oltre alle suddette attività, ti diletti a scrivere articoli per una pagina molto interessante: Futuroquotidiano. Potresti parlarcene?
R: Tutte le esperienze didattiche che ho fatto e che via via faccio oggi come formatore di altri docenti – dai problemi di apprendimento degli alunni alla gestione dello stress che si origina nella difficile professione docente-  le traduco in riflessioni che poi diventano materiale per i miei articoli su FQ.


D: Come se non bastasse (fammelo dire!) ti interessi anche alla comunità italiana in Turchia, ove pare – correggimi se sbaglio – affondino le radici della famiglia Corrado. Siamo curiosi di saperne di più!

R: Si è una lunga storia ammantata di misteri, alcuni dei quali sono riuscito a svelare grazie a una appassionante ricerca che porto avanti da anni. Ho girato gli archivi di mezza Europa e del Medio Oriente per rintracciare persone e movimenti della mia famiglia di origine, che mi erano sconosciuti.  La ricerca parte da metà Ottocento e si concentra su due nodi. 

"L’emigrazione intellettuale italiana (medici, ingegneri, architetti, insomma professionalità varie) di fine Ottocento si rivolge all’Impero Ottomano per soddisfare la richiesta di competenze professionali mancanti in quelle regioni."

Il primo, sull’opera di uno scienziato napoletano divenuto famoso presso il Protomedicato Borbonico e l’Ospedale degli Incurabili per le sue prodigiose guarigioni del cancro della pelle. Purtroppo però con l’unificazione dell’Italia e la fine del Regno Borbonico questi viene osteggiato dalla nuova classe medica piemontese e cade in disgrazia (come si presume da una serie di documenti).
I suoi figli, due dei quali anch’essi medici, emigrano in Oriente. L’emigrazione intellettuale italiana (medici, ingegneri, architetti, insomma professionalità varie) di fine Ottocento si rivolge all’Impero Ottomano per soddisfare la richiesta di competenze professionali mancanti in quelle regioni (Vilayet di Aleppo, Iskenderun e Mersin). 


E così veniamo al secondo nodo strategico della mia ricerca. Lo scoppio della Guerra Italo-Turca 1011-12 (Guerra dichiarata dall’Italia alla Turchia per la conquista della Libia) causa l’espulsione dei cittadini italiani dal territorio ottomano e dalle stesse zone che essi avevano contribuito a sviluppare, con una forte azione di ritorsione dei turchi nei confronti degli italiani e numerose perdite di vite umane, tra le quali alcuni esponenti della mia famiglia di origine. 



D: Infine vorrei chiederti di ideare uno sponsor, destinato al pubblico estero, per offrire un’immagine di Napoli diversa da quella - unilateralmente negativa, ai limiti del caricaturale - creata dai mass media negli ultimi 15 anni… e invogliare la gente a visitare la tua straordinaria città.

R: Mah, non so bene cosa intendi per “ideare uno sponsor”… mi vengono in mente personaggi che Napoli la percorrono a piedi e fermano la loro attenzione su alcuni momenti o vissuti che possono caratterizzare in modo più profondo l’anima della città, se mi passi il termine. Sono viandanti, scrittori, musicisti, fotografi… penso a Ralf Krause, musicologo vissuto per molti anni a Napoli, che col suo “Applausissimus” da Berlino propone attualmente visite significative dal punto di vista artistico-musicale della città di Napoli, o a Vanna D’Amato, che con i suoi racconti tra il realistico e il visionario di alcuni angoli della città riesce a coglierne lo spirito profondo, quello che sfugge ai patinati depliant turistici.

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Grazie Nicola per questa densa e stimolante testimonianza. Spero che ci incontreremo di nuovo sul blog...
A presto!




 





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