I 5 errori tipici degli italiani all'estero
In questo post autobiografico vi parlo dei 5 errori più comuni degli italiani all’estero: io li ho fatti tutti tranne il numero 3, anzi alcuni
li faccio ancora (eh oui...), ma - ecco la lieta novella! - quel che conta non è tanto l’errore
in sé, quanto la consapevolezza di averlo fatto il che, secondo la clemente e umana logica italica,
ci autorizza a una sana & serena autoassoluzione. (Amen).
1.Parlare
male dell’Italia
Cavolo ma come potremmo vivere senza infierire,
criticare, sminuire, vilipendere senza sosta il nostro Paese? Mission impossible direte voi: ce l’hanno insegnato quando eravamo in fasce, è un po’ la nostra copertina
di Linus, ma c'è di più! Un italiano acritico nei confronti dello Stivale è considerato
semplicemente SOSPETTO.
“Ma sarà una spia? Sarà (para)normale? Che c’ha che NON va"?
Parlare male dell’Italia (politica, società,
amministrazione, burocrazia, mare, montagna, collina, stagioni, stampa - l’unica cosa che salviamo è il cibo e la mamma) è nel nostro DNA,
accettiamolo, anche perché i motivi per darci dentro non ci mancano di sicuro.
Ma adesso proviamo a farci questa domanda: siamo sicuri
che questo atteggiamento all’estero sia vantaggioso?
Eh già perché attenzione, ricordiamoci un po’ del famoso monito dal retrogusto vagamente sinistro “qualsiasi cosa dirai potrà essere usata contro di te”...
L’Italia è un paese alla deriva,
popolato da politici corrotti e voltagabbana, menefreghisti incivili ed evasori fiscali? Ben ci sta (anzi no), ma se ce lo tenessimo per noi? Perché non facciamo un pochino come i francesi, che all'indomani di incidenti nucleari o ecatombi da canicola (v. 2003) si affrettano a comunicare in TV con laconici e ingessati interventi, che "tout va bien" o che "tout est rentré dans l'ordre", per poi autocelebrarsi con inni nazionali e altre solennità, trasmettendo alla popolazione il messaggio che "YES we can". Why not?
(Lo so, lo so cosa pensate: non ce la possiamo fare. Ma non raccontiamolo in giro nè!).
(Lo so, lo so cosa pensate: non ce la possiamo fare. Ma non raccontiamolo in giro nè!).
E se la prossima volta che siamo
tentati - per spirito di sudditanza, stanchezza, conformismo italico o altro - di gettare
letame sul Belpaese di fronte ai locals,
ci concentrassimo un nanosecondo e scoprissimo che, in fondo, siamo anche noi FRUTTO
di quel paese, quella cultura, quel sistema che tanto disprezziamo? O facciamo finta di disprezzare (e qui subentra la psicanalisi, per cui getto la spugna e mi rifiuto di approfondire).
“Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso.” Mahatma Gandhi
Eh lo so è
dura, anzi durissima. Ma cosa possiamo fare per
non cedere all’autoflagellazione sistematica? Idea: telefonare subito a mammà e
sfogarci. Lei è lì, sempre pronta a raccogliere il lamento e a rincarare la dose
“Oh che inciviltà qui figlio mio, il vicino Marcellino ascolta la techno alle tre di notte,
ma beato te che vivi in un Paese civile”. Poi però non ditele che voi,
all’estero, non sapete neanche che faccia abbiano i vicini, o che il vecchino
del terzo piano è stato ritrovato mummificato dalla donna delle pulizie. Non vorrete mica farle crollare un mito. (Altrimenti poi con chi vi sfogate?)
2. Fare
come in Itaglia
All’estero, chissà perché - forse per un italico meccanismo autolesionista - siamo spesso portati ad agire all’itagliana. Esempi random: fare i
furbi e vantarsene, aspirare a una spintarella e appendere i manifesti, saltare una coda
chilometrica col sorriso astuto sulle labbra e raccontarlo agli amici,
sbandierare una raccomandazione, insomma – comportarsi come se fossimo rimasti nella peggiore Italia,
ossia esibendo come trofei i risultati ottenuti con trucchi&raggiri, in
barba alla meritocrazia… che siamo andati a cercare proprio oltre confine!
Ce l'ho il ramo più grosso perché conosco il boscaiolo. Tiè. |
Fa
parte di questo atteggiamento anche la mancanza di ambizione che, ahimè, ci
contraddistingue nella sfera professionale. Ad esempio sbandierare ai quattro venti
che stiamo cercando un lavoro, specificando che deve trattarsi di “uno qualsiasi, mi
sta bene tutto”, e attirarci così gli sguardi compassionevoli dei locals i quali penseranno – ma questo
con una laurea, due master e cinque stage nelle multinazionali cerca un lavoro da lavapiatti? Ma sarà mica un caso psichiatrico.
ITALIANS WASH IT BETTER |
Eh lo so che c’è poco da scherzare. Con la
crisi non c’è laurea che tenga e l’unico obiettivo è arrivare a fine mese, ma
cerchiamo di non apparire troppo
poco ambiziosi, camuffiamoci un po’
nel paese di adozione. Non fate come me, insomma, che nel remoto 1999 durante un
colloquio per uno stage in un’agenzia pubblicitaria di Tolosa (e dico pure
quale: Publicis), alla domanda del titolare “Cosa vorrebbe fare
durante lo stage?” presa da infantile euforia, alla tenera età di 26 anni
(tenera per noi, ma non per i francesi che, già laureati e
rampanti, sono all’inizio di una pianificatissima carriera) risposi con i
lucciconi negli occhi “Quello che vuole Monsieur, mi adatto!” Ancora mi rimbomba
nelle orecchie la risata grassa e sprezzante del tipo, ignaro di
avere di fronte una (ancora) bambocciona con le idee chiare come un dipinto brumoso di Turner.
3.
Dimenticare l’amata favella – tanto preziosa e bella!
Dite la verità, italiani all’estero, siete stati già tentati
di bypassare completamente la madrelingua fino a non parlare più neanche una
parola in pubblico o, peggio, fingere di non capire quando un connazionale vi
rivolge la parola dal Brennero in su? Male, molto male.
Spesso ne sa più un italiano che vive sul posto da 4 mesi che un autoctono che ci vive da 40 anni
Questa fase può
capitare, nessuno è perfetto, soprattutto i primi tempi, ma che mi dite di
quelli che si rifiutano di parlare italiano con i figli, perché “altrimenti non
si integrano”, o che all’aeroporto si scansano di 3 posti se vi sentono sussurrare
qualcosa nella lingua di Dante?
Eh già, tutti esterofili siamo, i primi tempi, ma poi anche per questa bella gente con la italopuzza sotto il naso arriverà – inevitabile come l’alba – la nostalgia, la voglia di parlare il natìo idioma o addirittura – orrore! – incontrare connazionali all’estero. Eh sì perché non dimentichiamocelo gente, siamo noi italiani i campioni del networking: spesso ne sa più un italiano che vive sul posto da 4 mesi che un autoctono che ci vive da 40 anni.
"Gli italiani guadagnano netto, ma vivono lordo." (Giuseppe Saragat)
4. Non
imparare MAI la lingua del posto.
Ecco, siccome a noi italiani NON piacciono le mezze
misure, spesso e volentieri ci troviamo schierati in due rive opposte: “solo
italiano” e “giammai italiano”. Beh, in questi 20 anni fuori mi sono capitate
solo due categorie di italiani all’estero che non sapevano proferir parola
nella lingua locale.
- uno: gente proveniente da ambienti "ammanicatissimi" (leggi:
prodotti ministeriali di dubbia o nulla meritocrazia dei quali preferisco
tacere il nome);
- due: gente il cui livello di creatività e ingegnosità era inversamente
proporzionale alla cultura (ergo, formalmente ignoranti ma genialoidi sul piano pratico, di quelli che con tre gesti e una smorfia riescono
a farsi capire sia dal salumiere che dal giudice in Tribunale grazie a una invidiabile dose
di ars arrangianda).
ACACM (Asino Con Alta Carica Ministeriale) |
Tuttavia,
suddette categorie rappresentano un misero 5%, per cui la regola aurea
quando si va all’estero è, ovvio e scontato, imparare la lingua del posto. E
dopo tale banalità passiamo all’errore numero cinque.
Niente coma etilico neanche stavolta. UN VERO LOSER. |
5. Scimmiottare
gli autoctoni
Leggi: ricopiarne scrupolosamente i comportamenti più
abietti e controproducenti per la salute psicofisica, oppure i più incompatibili con la nostra cultura italica, e farlo con lo stesso zelo con cui ricopiavamo le cornicette (spesso più brutte delle nostre) del compagno di banco. Esempio:
iniziare a bere compulsivamente ogni santo venerdì per cercare di raggiungere il
miracoloso stato di “nirvana sociale” osservato in certi
popoli generalmente nordici (che i paladini del politically correct mi perdonino!) dopo essersi abbandonati al binge drinking sottoponendo
fegato, alito e vescica a uno stress immane.
Fate come l’albero, che cambia le foglie e conserva le radici. Cambiate le vostre idee e conservate i princìpi. (Anonimo)
NON MI LAVO DA UNA SETTIMANA. SO CHIC. |
Effetti collaterali: ritrovarsi a
pomiciare con il globo intero in preda a uno stato di ebrezza con effetti
filantropici destinati a scomparire immediatamente una volta smaltita la
sbronza. Oppure, fare come me, cercare di crescere i figli alla francese (o alla tedesca!)
puntando tutto sull’autonomia, ergo insegnando al pargolo a vestirsi da solo,
prendere l’autobus e farsi da mangiare non appena tolto il pannolone… per poi
fallire miseramente nell’intento e rendersi conto di aver prodotto bambinotti
italoqualcosa divoratori di spaghetti, coccoloni e sempre pronti a fare
irruzione in cucina gemendo “Ah ma’ che se mangia??!!”.
E dire che c’avevo provato, c’avevo.
Erroneamente vostra,
parpra
Articolo stupendo! Da farne una legge!
RispondiEliminaGrazie mille! ;-)
EliminaIo aggiungerei il "manicheismo dell'espatriato": http://pensieri-eretici.blogspot.de/2011/02/il-manicheismo-dellespatriato.html ;)
RispondiEliminaBel post Mauro, complimenti!
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