Il sogno di Maria Pina: dalla Sardegna a Parigi


Per capire cosa ho provato la prima volta che ho messo piede in Francia, bisogna fare un salto indietro nel tempo.

Sono nata e cresciuta in Sardegna, fin da piccola ho sempre visto aerei e navi partire verso altri orizzonti e mi chiedevo ininterrottamente cosa ci fosse dall’altra parte.
Alle scuole elementari avevo un quaderno con in copertina Minnie davanti alla Tour Eiffel e sognavo di andare a Disneyland, da accanita lettrice dei fumetti di Topolino.



Alle scuole medie ho scoperto la lingua francese, grazie ad una professoressa che amava il suo lavoro e ci raccontava di quel paese lontano e di quella lingua esotica.


Alle medie e al liceo ho avuto degli amici di penna che mi raccontavano delle loro vite in quell’altro paese, cos
ì diverse da noi preadolescenti sardi. (Tra l’altro, con uno di loro ho anche preso un caffè appena arrivata in Francia, è stato molto bello).

A 13 anni passavo i sabato sera a leggere il dizionario di francese e poi, al liceo , ho scoperto la letteratura e il mio amore per il poeta Rimbaud.


La Francia, però, rimaneva un sogno.


Per scherzare dicevo: "Un giorno aprirò una sala da tè in Provenza, in un campo di lavanda, e avrò un marito francese che farà i salumi per lavoro.” E intanto, continuavo con la mia vita in Sardegna, fino al momento in cui mi sono detta:”Sai che c’è? Non ho niente da perdere, tolgo il sogno dal cassetto e vado a Parigi.”

 


Quasi su un colpo di testa, in un mesetto avevo già preso contatto e impegno con una famiglia francese della periferia parigina.
A partire dal 9 settembre 2016, per un intero anno scolastico avrei fatto la ragazza alla pari. L’autunno porta cambiamenti, nuovi inizi e io iniziavo una nuova vita.


fin da subito mi sono sentita a casa


Non è stata l’esperienza più facile del mondo: i genitori non erano quasi mai a casa e i figli soffrivano della situazione, non solo mi occupavo dei bambini ma anche della casa, poi se vogliamo mettere anche lo shock culturale, il comunicare h24 in una lingua che, ovviamente, nel quotidiano non è quella che si impara a scuola, la differenza di temperatura con la calda estate cagliaritana, la mancanza di privacy che mi faceva sognare di domeniche in pigiama passate a guardare serie tv.



E poi, la lontananza dalla famiglia, dagli amici, le chiamate in roaming a pagamento. Insomma, all’inizio sembrava proprio di stare sulle montagne russe.
Ma ero contenta di stare a Parigi, fin da subito mi sono sentita a casa.


Mentre passeggiavo nei viali, o accanto alla Senna, avevo una sensazione di déjà-vu. Il primo posto che ho visitato, prima ancora dell’iconica Tour Eiffel, è stata la piazza di Saint Sulpice e la rue Férou, dove nel 1871 Rimbaud lesse per la prima volta il poema “Le bateau ivre”, e qualche anno fa ne è stato fatto un murales.


Inutile dire che mi sono commossa.

L’anno è passato tra alti e bassi e la mia decisione di restare era già presa da molto tempo.
Avendo sempre voluto lavorare nella pasticceria, ma non avendo mai avuto l’occasione di farlo in Italia, iniziai a inviare curriculum un po’ dappertutto , specialmente nei negozi di dolci.



Quasi subito sono stata chiamata in un negozio di cookies e due mesi dopo, alla fine del mio periodo di prova, ho avuto la promozione a responsabile di laboratorio. Ogni mattina, alle 6, iniziavo a produrre impasti per fare chili di cookies, muffins e brownie. 

Non male come primo lavoro.


Nuovo giro, nuova corsa. Dopo neanche un anno avevo un nuovo lavoro e avevo trovato una bella camera in un appartamento in condivisione con altre 5 ragazze, nella periferia sud-est. 


La mia vita scorreva tra uscite con gli amici e ore interminabili al lavoro.

 


A dicembre 2017 ho preso in affitto un monolocale tipico parigino di 12 metri quadri con doccia e bagno nel pianerottolo, ma a 10 minuti dalla Tour Eiffel!


Il primo Natale da sola è stato abbastanza difficile: lontana da tutti, allora per sentire un po’ meno i giorni di festa mi sono regalata tre giorni relax tra shopping, teatro e piccola gita in Normandia.


E pian piano il tempo è passato


Questi anni non sono stati tutti rose e fiori, assolutamente.
La lontananza dalla famiglia e dai genitori che invecchiano, la solitudine, la difficoltà di essere soli in una grande metropoli, il costo della vita, l’individualismo delle persone, le diverse abitudini.


Io però preferisco concentrarmi sulle cose belle e quindi vi dico che non ho mai cambiato idea, mai rimpianto la scelta di essermi trasferita, trovare esperienze più adeguate alla mia persona: i concerti, la vastissima offerta culturale, i week-end in Europa e in altre regioni francesi, i 30 anni festeggiati a Disneyland, la scoperta di cucine internazionali, il multiculturalismo e le persone con vissuti ed esperienze diverse dalle mie.

In seguito ho lasciato il monolocale e adesso vivo in un appartamento nella periferia nord-ovest di Parigi, con il mio compagno francese (che no, non fa i salumi ma adora quelli italiani, ovviamente!)


Al lavoro ci sono stati alti e bassi.


L’azienda è stata venduta poco prima della pandemia, e a maggio 2020 abbiamo ripreso con un nuovo capo, un nuovo funzionamento, nuove responsabilità.


A settembre 2021 alcune voci di corridoio dicevano che dopo qualche mese ci saremmo trasferiti in un locale molto più grande in un quartiere malfamato e tra questa notizia, un nuovo responsabile frustrato che si metteva in competizione con me e la voglia di fare qualcosa di nuovo, ho preso la palla al balzo e ho deciso di mollarli.

Sono sempre stata una grande amante del tè, negli ultimi mesi del 2021 ho seguito delle formazioni, e ho deciso di orientare la mia carriera su questo campo.

Proprio per questo ho iniziato a inviare candidature nelle più famose boutique di tè parigine, incrociamo le dita e vediamo come andrà.


Intanto, dopo 6 anni dal mio arrivo, nuovo giro nuova corsa.


Pronta per nuove avventure!

Commenti

Posta un commento

Chi lascia un commento vince un caffè!

Post popolari in questo blog

"La magia di pensare in grande" di David Schwartz

Marinella Colombo: l'incubo dello Jugendamt e il collaborazionismo degli altri paesi